Il museo della stampa a Carlazzo: una storia d’arte e di vita
Il bello della scrittura di articoli sul territorio – che tu sia giornalista professionista o un semplice impiegato prestato al racconto – è quello di poter dare un volto e, soprattutto, una storia a qualcosa che vedi da sempre e che, magari, non hai mai davvero osservato.
Così è stato anche per quella libreria che, da ben prima che un giovane me stesso percorreva ogni giorno le strade di Menaggio per andare al liceo, troneggia placida a due passi dal municipio, in quella via Lusardi costola della statale che costeggia le acque cobalto del Lario prima e quelle grigio-turchesi del Ceresio poi. Le stesse acque che, immortalate da Attilio Sampietro, fanno bella mostra di sé nelle foto esposte e sulle copertine dei volumi in vendita, svelando le loro mille sfaccettature dovute al variare del tempo, della luce e dei sentimenti.
Incontro Attilio a Carlazzo, frazione Piano Porlezza, presso il museo che egli stesso ha voluto per raccontare la storia della stampa attraverso i secoli. Nella nuova struttura sono infatti custodite numerose attrezzature e oggetti legati a questa arte fondamentale, alcuni dei quali antecedenti l’attività della famiglia Sampietro, il cui inizio risale al 1939, anno in cui il padre di Attilio, Santino, ha rilevato la tipografia Caccianiga di Menaggio in cui lavorava, con l’intento di rimodernarla. L’obiettivo di suo padre era quello di fare “quello che altri non facevano”, mi spiega Attilio con una punta di giustificato orgoglio durante la visita guidata ai macchinari e agli oggetti che ha raccolto in tanti anni di attività.
Cenni di storia e ricordi del passato
Mi racconta dell’evoluzione della stampa, fin dall’introduzione, da parte del tedesco Gutenberg nel 1400 circa, dei caratteri mobili – scoperta subito adottata in tutta Europa e anche in Italia (fra le prime opere conosciute e stampate nella nostra lingua il Canzoniere del Petrarca nel 1470, la Bibbia nel 1471 e la Divina Commedia stampata a Foligno nel 1479).
Proseguendo nella visita, Attilio mi mostra la vasta collezione di caratteri di stampa risalenti ai primi del Novecento; questi, fusi in piombo in diversi stili – dall’assenza di fronzoli del bastone alle grazie (così sono chiamati le aggiunte trasversali agli estremi delle lettere) del corsivo e del bodoni – e peraltro in diverse misure, dal corpo 6 (equivalente a due millimetri) fino 36, dieci volte più grande.
(Parlando di caratteri, di particolare interesse è certo la macchina Intertype, risalente agli anni Venti, la quale produceva, con l’ausilio di una tastiera con lettere alfabetiche e un procedimento meccanico – la fusione in piombo – le matrici pronte per la stampa; matrici che poi, appunto, venivano rifuse, con evidente risparmio di materiale.)
Tra i macchinari – tutti ancora funzionanti – spiccano anche un colossale torchio tipografico Albion Dell’Orto del 1820 e un torchio calcografico costruito dall’artista comasco Aldo Galli negli anni Quaranta – molto banalmente, la differenza tra la stampa tipografica e quella calcografica è che la prima utilizza matrici in rilievo, mentre la seconda utilizza matrici incavate e riempite di inchiostro.
Tutto intorno, pannelli integrativi sulle pareti spiegano in dettaglio, in italiano e inglese, l’evoluzione delle tecniche di stampa e di come, partendo da una matrice incisa a mano, si sia arrivati alla stampa digitale computerizzata. Delle fotografie raccontano inoltre l’attività del proprietario, dapprima ai tempi della formazione alla scuola grafica dei Salesiani di Torino, in seguito negli anni dell’attività lavorativa, che ancora continua – perché, mi dice Attilio, “ho ancora il piacere e la curiosità di imparare sempre”.
La collezione di Attilio Sampietro trova posto anche nelle vetrine, dove sono esposte attrezzature inerenti l’incisone delle matrici su rame e su acciaio, oltreché preziosi volumi d’epoca. Si può ammirare anche una collezione di ex libris (ossia di etichette grafiche che si apponevano sui libri, a indicarne generalmente il proprietario) provenienti da tutto il mondo; spiccano una serie proveniente dal Giappone – realizzata in cinque colori in silografia, ossia una particolare tecnica di incisione su tavolette di legno (cinque diverse quelle necessarie, una per colore: questo per dare un’idea della precisione richiesta) – e anche delle belle opere di Enrico Vannuccini, tra i massimi incisori del Novecento. (Attilio mi regala una copia del libro che ha dedicato all’artista aretino, cosa di cui lo ringrazio).
Nei locali del museo, come a dar più ancora l’idea del salto nel tempo, sono peraltro esposte anche due automobili d’epoca, funzionanti e tenute benissimo; si tratta della vecchia Fiat del nonno e della Jeep utilizzata da John Kennedy durante il soggiorno a Bellagio del 1960.
Fotografie, libri e tanta passione
L’ultima parte della mostra è dedicata a un’altra delle grandi passioni di Attilio Sampietro, ossia la fotografia; ci sono infatti apparecchiature vecchie e nuove: le prime Kodak (bellissime macchine a soffietto, fondamentalmente delle compatte ante litteram), lastre, bozzetti preparativi e fotografie ottenute con processi che si possono quasi definire eroici. (“Purtroppo non tutti i giovani d’oggi hanno idee nuove” – mi dice con un po’ di rammarico Attilio – “né coscienza di come si lavorasse un tempo”. Forse sono solo frasi fatte; del resto è una convinzione che ho maturato anch’io, fin da quando mio nonno mi raccontava delle sofferenze della guerra, e che rafforzo ogni volta che mia nonna mi racconta di quanto abbia lavorato in vita sua.)
Infine, ovviamente, i libri: Attilio mi mostra alcuni dei volumi di cui è più orgoglioso; nella sua azienda, mi spiega, il lavoro si svolge a ciclo completo: vengono curati, infatti, lo studio grafico, la fotografia, gli impianti e – ovviamente – la stampa. Risalta, sinceramente, la qualità dei volumi sulle perle del lago di Como (villa del Balbianello, villa Carlotta, i Santuari del territorio): sono belli davvero.
Attilio mi racconta che a maggio uscirà un nuovo volume, dedicato interamente al Ceresio – lago che, chi ci abita lo sa, è dotato di un fascino particolare, brullo e magnetico.
Sa il fatto suo, Attilio Sampietro; e ci tiene a mettere a disposizione le sue conoscenze, sia con il museo, sia – mi racconta infine – con l’idea di organizzare in futuro dei corsi sulla stampa. Un uomo d’altri tempi con idee innovative, insomma, conscio dell’importanza della salvaguardia di attività che un tempo erano la normalità e che, imprescindibilmente, devono essere tramandate, affinché non si perdano insieme alla coscienza culturale di un’Italia che “aspetta da tempo un nuovo New Deal”. O, quantomeno, il rispetto che merita la sua storia.